ROSSO MALPELO

da Giovanni Verga | uno spettacolo di Stefano Micheletti


"Di Rosso Malpelo è meglio si perdano perfino le ossa. Gli arnesi che non servono più, si buttano lontano."

ROSSO MALPELO

da Giovanni Verga
drammaturgia Luca Micheletti

uno spettacolo di Stefano Micheletti
spazio scenico Stefano Micheletti

Con

Stefano Micheletti, Alessandra Mattei, Floriano Negri

Alessandro Balducci e Pablo Brattini
musiche e arrangiamenti Alberto Sarnico

produzione Compagnia teatrale I GUITTI / Teatro Viaggiante

Nella novella del piccolo minatore, Verga approfondisce due temi essenziali allo sviluppo lirico del suo mondo: la rassegnazione e la solitudine. Essi s’intrecciano e compendiano nella figura del protagonista («nessuno avrebbe potuto dire se quel suo piegare il capo e le spalle sempre fosse effetto di fiero orgoglio o di disperata rassegnazione»); Malpelo è un ribelle solitario, spietato verso se stesso e gli altri, ma profondamente organico all’universo che l’ha generato e che se lo inghiotte, nel finale. Gli unici suoi affetti (il babbo e Ranocchio) sono anche all’origine dei suoi rancori. Il padre è il modello di cieca dedizione all’ideale del profitto – quello che lo condurrà a scegliere la strada più sicura per una morte certa – che anima anche, per altro verso, il fanatismo isterico e violento di Malpelo, “bestia” anch’egli, come suo padre: servi orgogliosi che non sanno né vogliono scrollarsi di dosso il giogo e che si fabbricano da sé una filosofia buona per stringere i denti, fino alla più assurda agonia. Ranocchio, poi, è quanto Malpelo stesso teme di diventare e certo diventerebbe se mai lo abbandonasse la ferocia che gli consente di spaccarsi la schiena e di spaccarla all’asino che lo affianca nel lavoro: Ranocchio è la debolezza e la paura, e quanto di esse il bene porta con sé. Perciò Malpelo vuole allontanarsene: lo ama e lo teme, poiché il compagno è lo specchio puro e fragile in cui egli stesso paventa di riconoscersi. La solitudine, la sperdutezza, il timore: tra i poveri diavoli ritratti da Verga, Malpelo è forse il più disgraziato: non sa amare e vorrebbe amare, non sa né può uscire dal cerchio ferreo della sua solitudine, e perciò vi si barrica e ne diventa il paladino, il guardiano terribile. Grande ripudiato, Malpelo si tramuta in un fantasma, sceglie coscientemente di abbandonare il mondo dei vivi, disposto a giocarsi la sopravvivenza, a raggiungere la buia eternità segreta delle caverne di rena. Il suo inferno è la rassegnazione: quello di cui difetta è la coscienza, di sé, del mondo di sopra, della libertà. Perciò non vi aspira: non la conosce; lo sgomento lascia posto alla freddezza, il dolore diviene l’unico vangelo possibile. E la redenzione è un abbandono della vita, una discesa agli inferi senza ritorno.


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